giovedì 19 giugno 2008

Storie di suore, vescovi, pretacci e invalidi.

Sempre loro. Noantri.

Pillow book




Faccio subito una premessa doverosa per chi legge: io non sono credente. Nonostante abbia praticamente tutti i sacramenti cristiani del più classico percorso di un bambino italiano che diventa adolescente (battesimo, comunione e cresima) in una famiglia umile del ceto medio, una volta raggiunta l’età della ragione ho preso le mie decisioni. Senza pressioni da parte dei miei genitori e nel più grande rispetto per il ruolo che la religione cattolica occupa nella storia del Paese.
Questa settimana ci sono state due vicende che parlano di religione, di credo, di sofferenza che mi hanno molto colpito. La prima è quella delle due monache di clausura, cacciate alcuni anni fa dal monastero di Santa Maria del Carmine di Camerino, che domenica mattina si sono incatenate per circa due ore alla base di un lampione in piazza Pio XII, lo slargo antistante la basilica di San Pietro. Suor Albina , 73 anni, e suor Teresa , 79, appartenenti all’ordine delle Carmelitane di antica osservanza, avevano due cartelli di protesta e si rivolgevano direttamente al santo padre. Su uno c’era scritto: «Santità, non siamo né prostitute, né violente, né ladre, né malate di mente».


Le due suore dicono di aver lasciato il monastero per due mesi per motivi di salute e di non essere poi state riammesse. Secondo qualcun altro invece la vicenda è meno chiara di quello che sembra: sono aperte infatti un’ispezione eccelesiale e un’inchiesta della procura. Suor Albina era la priora del convento prima di esserne allontanata per alcune irregolarità, compresa la presenza di un uomo ospitato come custode nella struttura. Da un’ispezione, però, erano emersi anche ammanchi di denaro, sui quali era stata aperta un’inchiesta della magistratura. Quest’ultima, nel 2007, ha chiesto il rinvio a giudizio dell’uomo per truffa e circonvenzione di incapace. Lo scorso mese di aprile a Macerata si è aperto il processo a carico di Pierpaolo Melchionda, 40 anni, ex carabiniere, l’uomo presente nel convento come factotum. È accusato di appropriazione indebita, truffa e circonvenzione di incapace, in relazione ad ammanchi nei fondi del convento e altre irregolarità, tra cui la compravendita di un terreno.
Una storia curiosa, che forse fa sorridere. Tutti avranno pensato infatti alle arzille monachelle e al carabiniere quarantenne chiuso nel convento che se la spassano. Premesso che sostanzialmente non me ne importa un fico secco degli eventuali peccati delle due donne, quello che stona in tutto questo è quel cartello. Quel “non siamo prostitute, né violente, né ladre, né malate di mente”. Nel linguaggio usato, nelle categorie indicate come indegne, emerge ancora una volta tutta la discriminazione di corporazioni settarie e religiose poco lontane nella loro concezione di società dai fanatici islamici. Ecco cosa mi ha allontanato dalla fede, dalla religione. Il terrore di essere visti come dei peccatori, la ricerca ossessiva (lo ricordo anche nelle prediche che mi facevano le suore all’asilo) di far parte di quelli che si salveranno, a discapito del prossimo. Perché sono loro che non entreranno nella casa del signore, “mica noi che siamo buoni”.
L’altra storia è quella di Viterbo dove due ragazzi di 26 anni, prossimi alle nozze, non hanno avuto il permesso di sposarsi in Chiesa dal Vescovo della città a causa del grave incidente che ha causato la paralisi delle gambe di lui. Il problema non era tanto la sedia a rotelle con la quale avrebbero dovuto convivere per il resto della loro vita, quanto il dubbio sulla capacità del ragazzo di poter procreare. Ecco un altro esempio di giudizio sul comportamento altrui. Dico io, neanche fossero stati due omosessuali, due diversi, due peccatori, due musulmani convertiti. Questi dubbi del vescovo mi sanno tanto di selezione della razza . Sembra quasi che la casa del signore non sia così aperta a tutti, almeno finché le chiavi saranno in mano a delle teste di cazzo. Alla fine i due sono stati uniti in cerimonia religiosa al Cto di Roma. «Posso garantire - ha detto il sacerdote che li ha sposati - che anche il vescovo sta soffrendo per la piega che ha preso una decisione che voleva essere invece un atto di prudenza pastorale. Certo, e qui debbo essere onesto con me stesso, in questa prudenza dovrebbe anche entrare quello che i due ragazzi pensano e decidono. E loro avevano deciso di celebrare il matrimonio per vivere insieme. Lo avevano detto anche a me, per telefono, quando dal Canada avevo fatto percepire a loro che suggerivo di aspettare. Ma nel momento in cui ho capito la loro volontà, che mi è sembrata una testimonianza di amore che dà vita, non ho avuto dubbi: l’amore, se vero, non può essere fermato da nessuna regola».
Tutti contenti dunque, tranne il vescovo. Immagino la sua sofferenza. Ma la colpa stavolta è dei ragazzi, credenti e con tutti i sacramenti cristiani del più classico percorso di un bambino italiano che diventa adolescente (battesimo, comunione e cresima) in una famiglia umile. Perché l’errore sta nel farsi giudicare da un altro uomo. E’ il passo che porta all’ostinata ricerca di far parte di quelli che si salveranno. Sono gli altri quelli che non entreranno nella casa del signore: le prostitute, i violente, i ladri, i malati di mente. Ma volendo anche gli storpi e le suore.

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