venerdì 18 settembre 2009



leggiamo su ogo e con piacere diffondiamo:




18 settembre 2009: NONOSTANTE L'AUTUNNO LE VESPE CONTINUANO A PUNGERE!!!

Aperitivo d'inaugurazione del nuovo spazio autogestito per donne "LE VESPE" presso "IL POSTO" di Via Bramantino

Dalle 19 in poi ci sarà da bere e da mangiare per tutte e tutti!

Per l'occasione: diffusione a sorpresa di introvabili numeri di "nonostante milano" e foto di gruppo dietro la consolle di radiocane!

In solidarietà con i/le ribelli del Cie di Via Corelli attualmente in carcere per essersi ribellate/i contro i lager di stato

In via Bramantino angolo via De Predis (le insegne nere), zona Prealpi (tram 12, 1; autobus 90/91; passante villapizzone)

LE VESPE – SPAZIO AUTOGESTITO PER DONNE

Ciò che puoi trovare da subito:

* Informazioni, assistenza e indirizzamento alle strutture per richieste di interruzione di gravidanza.

* Informazioni e indirizzamento ai consultori pubblici milanesi e alle strutture ospedaliere a cui rivolgersi per problemi ginecologici, gravidanza, parto, menopausa.

* Informazioni e indirizzamento alle strutture contro la violenza maschile sulle donne.

* Una piccola biblioteca.

* Per segnalare abusi riguardo alla richiesta di IVG o di pillola del giorno dopo, o sulla presenza di medici obbiettori di coscienza in consultori o ospedali.

* Per segnalare chi denuncia chi non ha il permesso di soggiorno.

APERTO OGNI VENERDì MATTINA DALLE 10.30 ALLE 12.30

NOI NON DENUNCIAMO CHI NON HA IL PERMESSO DI SOGGIORNO

Le mura dello spazio dovranno essere attraversate, dovranno rappresentare un passaggio per le nostre parole, idee, azioni, che una volta fuori diventeranno sovversive, espressione dell’autonomia delle donne, la quale scardina la logica della delega, sovverte l'ordine costituito e le complicità su cui si regge!

Oggi, la donna, nell'ordine sociale, è ridotta a oggetto di pulsioni, contemplata per il corpo-feticcio che incarna, uno specchio nel quale viene riflessa un'immagine. La donna oggi non ha valore, non ha voce e dunque, in sé, non ha esigenze, il potere le propone un modello unico di riuscita e di comportamento.

Le donne, nella storia, hanno sempre avuto dei luoghi a loro consacrati. Luoghi che, ben inteso, venivano concessi da un sistema per destinarle a una chiara collocazione nella società. Che fosse il focolare, la cucina dei padroni, la parrucchiera o il salotto, le donne hanno sempre avuto un luogo nel quale trovarsi sole, difeso dalle orecchie altrui, nel quale confrontarsi, aprirsi, tramare.

Le parole delle donne sono state spesso considerate vanesie, conformi alla loro natura, ma in realtà sono parole ricercate, di confronto tra il sé e l'altra, dalle quali sorgono scelte di vita, atteggiamenti, orientamenti.

Parole fortemente difese da quelle orecchie altrui che non possono capire e non vogliono ascoltare.

Oggi, le parole delle donne vengono pronunciate all'interno di questi spazi in solitudine. Le parole, senza possibilità di scambio, rimangono mute, perdono consistenza, si scontrano con una realtà che apparentemente non lascia più spiragli d'azione.

Ancora più che nel passato, le parole delle donne rimangono immobili, ma nascondono dietro la facciata la volontà di resistenza.

Sentiamo il bisogno che queste parole abbiano respiro, diventino voci consapevoli della loro forza d'azione. Il confronto che le donne hanno sempre avuto vogliamo che diventi quotidiano, ricercato e difeso perché spazio di libertà.

Le mura dello spazio dovranno essere attraversate, dovranno rappresentare un passaggio per le nostre parole, idee, azioni, che una volta fuori troveranno valore, consapevolezza, respiro, complicità; realizzando uno spostamento, anche seppur minimo, nella vita di ognuna.

Spostamento che, quando avviene, si fa sovversivo,espressione dell'autonomia delle donne, scardina la logica della delega, sovverte l'ordine costituito e le relazioni di potere su cui si regge!

Sanaa, una di noi. Uccisa perché libera

di Barbara Spinelli

da L'Altro, 17.09.2009

La forza di rompere le catene e scegliere la propria felicità ha un prezzo, che ogni donna rischia di pagare quando prende in mano il timone della propria vita.

Che si tratti di scegliere di amare un uomo che odora di altri profumi o prega un altro dio, che si tratti di lasciare un uomo che soffoca le nostre aspirazioni nella tomba della quotidianità della fede che porta al dito, che si tratti di volere un figlio sapendo che quello stronzo che ci ha assunte userà quella lettera in bianco che ci ha fatto firmare stroncando la nostra carriera, che si tratti di voler diventare velina costi quel che costi, quando una donna decide e afferra in mano la propria esistenza, spesso paga un prezzo troppo alto, un surplus di sofferenza, di morte, fisica, psicologica e sociale, “in quanto donna”.

Femminicidio. La prima causa di morte per le donne nel mondo, in Italia. La prima causa di infelicità. Femminicidio: ogni pratica sociale discriminatoria o violenta, rivolta contro la donna “in quanto donna”, nel momento in cui la stessa sceglie di autodeterminarsi e di non aderire passivamente al ruolo sociale scritto per lei dalla società patriarcale (brava madre, moglie, figlia, oggetto sessuale), posto in essere col fine di annientarla fisicamente, psicologicamente, nella sua libertà e posizione sociale.

Sanaa era una di noi. Quello che ci accomuna tutte è che prima o poi, in qualche forma, ci troveremo a dover combattere, faccia a faccia con l’odio di un maschio incapace di accettare la nostra capacità di scegliere in autonomia cosa fare della nostra vita, del nostro corpo.

Noi lo sappiamo, che il resto -colore della pelle, religione, depressione, passione, disoccupazione- è solo una giustificazione apparente di questo odio, la circostanza in cui esso si manifesta, non certo la causa fondante.

Sanaa uccisa prima di tutto perché ha disobbedito a suo padre. Ha pagato con la vita. Come Irene, uccisa dal padre in agosto perché non gli piacevano le sue amicizie e le sue serate a base di eroina. Come la figlia di Giorgio Stassi, che in maggio si è vista ammazzare da suo padre il ragazzo perché non voleva che si vedessero. Come Sabrina, che in aprile ha visto il padre Pier Luigi Chiodini abbattere a sprangate il ragazzo che lui non voleva per lei davanti ai suoi occhi. Qualche nome, per non dimenticare. Perché è comodo rimuovere facce, nomi, storie di altre di noi che hanno pagato con la vita le loro scelte di libertà, o l’incapacità di liberarsi da uomini che le opprimevano.

Se è facile riconoscere il razzismo, sembra che ci sia un impegno collettivo per rimuovere l’esistenza del sessismo.Facile parlare di omicidi culturali, guerra di religione, e ignorare sistematicamente che dietro ogni donna morta per amore, o per religione, c’è un uomo che l’ha uccisa convinto che lei non avesse diritto di scegliere da sola.

E’ violenza di genere, che trova la sua causa nel mancato riconoscimento da parte dell’assassino del fatto che quella donna che ha davanti non è una sua appendice, un essere sottoposto al suo volere, ma è una Persona la cui dignità e libertà di scelta va rispettata.

Una Persona con cui mettersi in relazione, non da correggere, proteggere, educare o punire.Non importa se gli uomini dicono che ci ammazzano per amore, per vendetta, per onore, o per giustizia divina. Non importa se a chi governa fa comodo strumentalizzare queste giustificazioni per stringere la morsa del controllo sociale e portare avanti politiche securitarie.

Che lo facciano per forza di numeri, ma non con la nostra connivenza, non in nostro nome.Noi ci siamo per ribadire che la nostra vita e la nostra libertà di scelta hanno un valore assoluto, sempre. E che non ci devono essere giustificazioni per nessuno: né per il padre geloso né per il padre fondamentalista.

martedì 1 settembre 2009

Nuove iniziative a sostegno dell'Ambulatorio Medico Popolare

30/8 dalle ore 19 nei giardini di via dei Transiti
- presentazione del libro di Nicoletta Poidimani "Difendere la "razza". Identità razziale e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini"
- aperitivo di sottoscrizione per l'Ambulatorio Medico Popolare

19/9 dalle ore 19 Centro Sociale Torchiera
- serata di autofinanziamento dell'Ambulatorio Medico Popolare
- cena
- concerto
- sound system

22/9 dalle ore 19
cena colombiana in sostegno all'AMP (preferibile prenotare via mail o tel 02/26827343)

23/9 dalle ore 6
colazione antisfratto in attesa dell'ufficiale giudiziario

una lettera da ponte galeria

macerie >>>

«Quando sono entrato qui mi hanno detto che dovevo stare tranquillo, che qui ero libero… Ho visto la Croce Rossa e mi sono detto: “meno male, almeno non vedo la polizia intorno”. Invece mi sono sbagliato tanto, mi sono sbagliato tanto a pensare così…
La Croce Rossa mi ha dato un paio di ciabatte, un paio di lenzuola di carta di quelle che si usano sui treni, quelle usa e getta. Mi ha aperto un cancello e… lunghe sbarre, lunghe sbarre alte quattro metri. Tutto a sbarre. Avete presente gli zoo, come sono divisi gli animali? Una gabbia sono negri, una gabbia sono arabi, una gabbia sono del Bangladesh, una gabbia sono indiani, una gabbia sono europei… Da lontano ho visto i militari, e come girano intorno coi mezzi che usano lì in Afghanistan - armati! Subito mi sono reso conto che mi hanno detto una bugia, che non ero libero io: una persona chiusa in una gabbia 16 per 20 non può essere libera, non può essere libera!
Qui non c’è la vita, non si può vivere così: ci danno il vitto solo per tenerci in vita. Sapete come ci sentiamo, sapete come ci sentiamo noi? Persone sequestrate! Una cosa è sentirla - vedete, mi viene la pelle d’oca - e un’altra cosa è trovarsi solo cinque minuti in una gabbia… e no, due mesi, tre mesi, quattro mesi, cinque mesi, sei mesi… E intorno a noi girono militari che sono tornati dall’Afghanistan. Vigili urbani, Polizia, Finanza, Carabinieri, Polizia stradale, militari… tutte le divise abbiamo qua. E in più abbiamo la Croce Rossa: per me il nome della Croce Rossa è infangato, infamato!, perché sotto le divise della Croce Rossa si nascondono gli ex militari. E questo lo posso confermare davanti a tutti, anche davanti al Presidente della Repubblica.
Qui non è come fosse Guantanamo: è Guantanamo. È Guantanamo. È Guantanamo del signor Berlusconi, del signor Bossi, del signor Maroni, del signor Fini, del signor Casini e del signor Calderoli. Noi vogliamo che nostra voce si senta da qua a tutto il mondo come si è sentita per Guantanamo.Trasmettetela e ve ne saremo molto grati: le nostre sofferenze qua non si possono descrivere. Non si possono descrivere, non si possono descrivere…»


Ponte Galeria, Roma, 30 agosto 2009